… papà
c’era una volta un tizio
sotto il mio stesso tetto;
mi si diceva di chiamarlo babbo
così, un giorno dopo l’altro,
come un occhio strabico,
come un piede piatto,
ho finito per accettarlo
il cranio duro come una bietola,
l’intestino ingordo,
i sensi alla guida del cervello,
gli urli per mendicare rispetto,
fottutissimo padre padrone
seminava il terrore
scavandosi la fossa
la mediocrità è longeva
e oggi il pater familias ,
cariatide di muscoli paralizzati e neuroni atrofizzati,
si avvinghia come una pulce infetta
all’epidermide della vita
il silenzio che ci separa
mi urla di perdonare un misero vecchio
ma il cuore è sordo da anni
e lo stomaco non regge più
alla vista degli spettri
gli porto in dono la morte
che rende vittime anche i carnefici;
ne avrò in cambio rimorsi
e magari quel che mi spetta
per estinguere il mutuo della casa al mare.
da: “Arsenico e nuovi versetti”
Gabriella Montanari. Lugo di Romagna 1971
3 luglio 2013 at 9:09 PM
eh…duretta eh…questa: intensa e molto dura….
buon domani!
.marta
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4 luglio 2013 at 11:37 am
Davvero molto!!!
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30 gennaio 2014 at 12:47 am
Ho fatto di peggio, nella raccolta poetica precedente Arsenico (da cui è tratta Papà) e di meglio nell’ultima. Curiose? Stesso destinatario, ovviamente. Una trilogia, tutto sommato.
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30 gennaio 2014 at 8:28 am
La conosco questa rabbia, lo sento ogni momento nelle orecchie, l’urlo che viene su da un profondo cavo e nero e dolente, che riempi nel tempo, un giorno dopo l’altro. Oggi qualche badilata di rancore, domani un po’ di risentimento, domani l’altro, tanta frustrazione, e chiodi, tanti chiodi lunghi ed acuminati per fissarlo bene il dolore, in faccia ad un muro, e guardarlo dritto negli occhi e dirgli “non sei nessuno, guarda, non mi fai male “…fino a quando ti accorgi che sei tu stessa il tuo dolore e hai paura di sentirti per non sentire male.
I poeti, bravi come te, hanno il privilegio di svelare a noi tutti quello che abbiamo dentro. Io non sono un poeta ma anch’io combatto i miei demoni.
Un saluto.
Annamaria
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11 marzo 2014 at 1:24 am
grazie annamaria, per aver colto, e per questo non serve a niente essere poeti…
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