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Monet negli ultimi anni, diventato cieco, dipinse sempre la stessa cosa,
uno stagno di ninfee colorate, come se non ci fosse altro da dipingere o scrivere
che quella felicità senza paura di cui sono fatti
i minimi spostamenti d’ombra del giorno.
Ma lui, si sa, era un artista borghese, e non ha mai veramente sputato sangue
per pagare l’affitto o per far quadrare i conti alla fine del mese. In occasione
della guerra franco-prussiana scappò disertando ad Amsterdam, dove si nascose
dipingendo i canali fino a Comune terminata. Anch’io diserto continuamente,
l’arruolamento nelle file dei distinti rappresentanti di realtà non fa per me,
solo ci sei tu come un lago di ninfee e le tue minime variazione di luminosità
Ore 12.30, Via dei Serpenti, ascolto la tua voce da duecento chilometri
di distanza, nel traffico dell’ora di punta. Ti manco tanto, anzi no,
vorresti stringermi tra le tue braccia, forse sarebbe meglio non ci vedessimo più.
Cazzo, certe volte vorrei essere cieco e sordo, guardare gli umani
dalla penombra antidiluviana di una cataratta da rettile, vedere se per caso
le cose che fanno e dicono hanno lo stesso peso specifico e soprattutto
la stessa velocità della luce. Nel frattempo ripenso al cielo burrascoso di Le Havre,
vasto come la tenerezza che sento per te,
capace di contenere anche le cose più sordide,
come scopare in piedi nei cessi della stazione. E’ allora
che mi decido a lasciarti nella segreteria un ultimo disperato messaggio d’amore,
ma non è un caso se mi escono solo queste povere insignificanti parole:
aspettando di risentire presto la tua voce, baci.
Emilio Piccolo, Acerra 13 5 1951 – 23 7 2012
da “Beatrice. My heart is full of troubles”
io lo confesso
io lo confesso:
non ho nulla da dire o fare o da tacere
ho smesso e dismesso a turno o a caso
donne calzini e ciò che tocca se tocca quando tocca
ho avuto cose buone per un week-end
e cose buttate via senza assaggiarle
ho sentito parlare di me in luoghi
che non mi appartenevano
io stesso mi sono sempre chiesto
ma che ci faccio qui ma c’ero
qualche volta ho creduto
dalla mia impazienza
di essere dove dovevo
qualche volta mi sono chiesto se ero felice.
Emilio Piccolo, Acerra 13 5 1951 – 23 7 2012
frammento di “Tomorrow”
da “Beatrice. My heart is full of troubles”
La prima volta che vidi Emilio, eravamo nel giardino dell’istituto delle suore di San Giuseppe durante l’ora di ricreazione, era la fine degli anni cinquanta. Avremo avuto sei o sette anni ed io ero in classe con il suo unico fratello, più piccolo di lui di un anno.
Poi la vita, misteriosamente, va avanti a passi sempre più lunghi e spediti.
Giovane e preparatissimo insegnante di latino e greco, si trasferì nella grande città e diventò docente di una scuola prestigiosa. Una strada alquanto in salita, invece, fu la sua vita affettiva che non gli risparmiò esperienze dolorose e qualche scelta sofferta.
In tanti anni l’avrò visto tre o quattro volte e sempre di sfuggita.
Fino al settembre del duemilaquattro quando arrivò, fresco di trasferimento, nel mio liceo. Era tornato da dove era partito.
Ormai adulti, con un bel pezzo di strada già percorsa dietro di noi, ci riconoscemmo subito, nonostante il lavoro impietoso del tempo sui nostri volti.
Gli chiesi di lui e mi rispose che, fino ad allora, aveva speso il tempo come fa il resto dell’umantà, comprando felicità e dolore in eguale misura, e che si era reso conto di invecchiare, perché non aveva più tanta “fretta di vivere”.
Perché ne parlo? Perché Emilio, prima ancora di essere un grande poeta, era un’anima straordinaria, nel senso di “fuori dall’ordinario”: sua era l’eterna sensazione di aver perso qualcosa che pure sapeva di non aver mai posseduto, e tuttavia, ancora così candido da credere nei sogni, negli ideali. Portava negli occhi una tristezza che, e ne era consapevole, nessuno era disposto a perdonare, per via di quel “principio di realtà” che i “tutteguali sempreguali” non riconoscono ai Poeti. Sapeva bene che la poesia serviva a poco, eppure, spasmodicamente cercava nelle parole il cuore pulsante della vita, dell’amore, dell’io, di se stesso.
Parole tenere o affilate come spade, dove ci siamo noi, con le nostre storie, le nostre vite.
Iraida (Annamaria)
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6 commenti | Tag: Beatrice My heart is full of troubles, Emilio Piccolo, Poesie commentate | Pubblicato in: tutti gli articoli