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Diavolo di un prete!

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Quella sera ero proprio stanca. Mancava un quarto all’una e, come ogni notte, chiusi la pompa dell’alimentazione, guanti monouso e, con l’aspiratore, attraverso il tracheostoma aspirai i muchi, sperando che il bip bip del saturimetro non suonasse più volte nella notte. Lui aveva gli occhi chiusi, non c’era più già da due anni. Il suo corpo era lì, congegno perfetto che continuava a funzionare a ritmi regolari: il cuore batteva, i reni filtravano, la bocca sbadigliava, e io, ogni volta a chiedermi dove fossero le sue emozioni, i suoi desideri, l’amore per i nostri figli, le sue risate e tutti i baci che mi aveva dato.
Ero sfinita e disperata.
Prima di andare a dormire controllai la mia posta. Un nuovo messaggio.
Diavolo di un prete! Aveva risposto alla mia mail! Lo avevo ascoltato in TV, avevo letto qualche suo libro sulla Comunità di San Benedetto al porto di Genova, approdo di tossici, ex prostitute, ex ladri, uomini e donne in “transito”, A’ Lanterna, i suoi “drogati di merda”. (Solo lui però, diceva, li poteva chiamare così). Quaranta anni di attività sulla strada a camminare con “gli ultimi”. Amatissimo e criticatissimo, ostinato come chi sa di essere nel giusto. Semplice, diretto.
Diavolo di un prete! pensai, mentre leggevo le sue parole, e il groviglio di disperazione, di rabbia e di dolore che mi portavo dentro da due anni, si scioglieva insieme alle mie lacrime. Un Padre che consola una figlia? Forse, ma più ancora, sentii rompersi, come fa il ghiaccio in primavera, il vuoto di senso in cui ero annegata o in cui mi stavo lasciando annegare. O forse, più semplicemente, quella sera capii quello che mi era successo.
Ma fu tutto più sopportabile.

Iraida (Annamaria Sessa)