
ODISSEO A TELEMACO
Telemaco mio,
la guerra di Troia è finita. Chi ha vinto non ricordo.
Probabilmente i greci: tanti morti
fuori di casa sanno spargere
i greci solamente. Ma la strada
di casa è risultata troppo lunga.
Dilatava lo spazio Poseidone
mentre laggiù noi perdevamo il tempo.
Non so dove mi trovo, ho innanzi un’isola
brutta, baracche, arbusti, porci e un parco
trasandato e dei sassi e una regina.
Le isole, se viaggi tanto a lungo,
si somigliano tutte, mio Telemaco:
si svia il cervello, contando le onde,
lacrima l’occhio – l’orizzonte è un bruscolo -,
la carne acquatica tura l’udito.
Com’è finita la guerra di Troia
io non so più e non so più la tua età.
Cresci Telemaco. Solo gli Dei
sanno se mai ci rivedremo ancora.
Ma certo non sei più quel pargoletto
davanti al quale io trattenni i buoi.
Vivremmo insieme, senza Palamede.
Ma forse ha fatto bene: senza me
dai tormenti di Edipo tu sei libero,
e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.
Josif Aleksandrovič Brodskij
(Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996)

LA SECONDA ODISSEA
Una seconda grande Odissea
più grande della prima, forse. Ma
ahimé senza Omero, senza esametri.
Era piccola la dimora paterna,
era piccola la città natìa
E tutta la sua Itaca era piccola.
L’affetto di Telemaco, la fedeltà
di Penelope, la vecchiaia del padre,
i suoi vecchi compagni, l’amore
del popolo devoto, il lieto
conforto della casa
l’arrivo come raggi di gioia
nel cuore del navigante.
Ma quei raggi sono tramontati.
La brama
del mare s’era ridestata in lui.
Odiava il vento di terra.
Di notte i fantasmi dell’Esperia
turbavano il suo sonno.
Lo coglieva la nostalgia
dei viaggi e dei mattutini
arrivi nei porti dove,
con qual gioia, entri per la prima volta.
L’affetto di Telemaco, la fedeltà
di Penelope, la vecchiaia del padre,
i suoi vecchi compagni, l’amore
del popolo devoto,
la serenità e il conforto
della casa lo hanno annoiato.
Ed è partito.
Mentre le coste di Itaca
piano dileguavano innanzi a lui
e alzava le vele verso il tramonto,
verso l’Iberia e le colonne d’Ercole, –
lontano dal mare Acheo –
sentì che tornava alla vita, che
si liberava dei gravosi legami
con le cose conosciute e familiari.
E il suo cuore d’avventuriero
freddo gioiva, vuoto d’amore.
Costantino Kavafis
Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1863 – Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1933

ITACA
Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrìgoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l’emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrìgoni o Ciclopi
né Posidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
Se non li drizza il cuore innanzi a te.
Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d’estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra!) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d’ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Rècati in molte città dell’Egitto
a imparare imparare dai sapienti.
Itaca tieni sempre nella mente.
La tua sorte ti segna quell’approdo.
Ma non precipitare il tuo viaggio.
Meglio che duri molti anni, che vecchio
tu finalmente attracchi all’isoletta,
ricco di quanto guadagnasti in via,
senza aspettare che ti dia ricchezze.
Itaca t’ha donato il bel viaggio.
Senza di lei non ti mettevi in via.
Nulla ha da darti più.
E se la trovi povera, Itaca non t’ha illuso.
Reduce così saggio, così esperto,
avrai capito che vuol dire un’Itaca.
Costantino Kavafis
Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1863 – Alessandria d’Egitto, 29 aprile 1933

ITACA
Tornare qui dopo vent’anni,
ritrovare nella sabbia la propria orma nuda
Il latrato del cane che si leva sul pontile
non si confessa felice, ma inselvatichito.
Vuoi liberarti del sudore che t’impregna;
ma è morta la balia che riconosce la tua
cicatrice.
L’unica che ti abbia aspettato, si dice,
non si trova in nessun dove, ché a tutti
ormai s’è data.
Il tuo ragazzo è cresciuto, anch’egli marinaio,
e guarda a te come a un rifiuto
e la lingua, nella quale urlano d’intorno,
pare inutile fatica decifrare.
Forse quella non è l’isola, o forse, imbevuta
la pupilla d’azzurro, il tuo occhio è divenuto
schizzinoso:
dal lembo di terra l’orizzonte l’onda
non scorda quando su questo, vedi, si frange
Josif Aleksandrovič Brodskij
(Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996)
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