Il giglio

ragazzo-gazawi-777x437

Con la solitudine arrivi, giglio…
No, arrivo con la primavera.

La tristezza ti fa compagnia, giglio…
No, il candore mi circonda.

Nasci dalla notte, giglio…
No, del sole sono pieno.

Tu versi lacrime, giglio…
No, è rugiada di stelle.

Guarda il mondo, giglio…
Ahi, adesso sì sento dolore!

Pedro Enriquez

Granada 1956
Traduzione di Valentina Meloni

Pedro Enriquez è  direttore  di Ficciones Revista de Letras, le sue poesie sono state tradotte in molte lingue e apparse su riviste letterarie di molti paesi compresi gli Stati Uniti.


non credo che sarà necessario dirti altro…

Un giorno, se farò a tempo, ti racconterò qualcosa di me.
Dovrò cominciare da uno che nell’ottocento se ne andava in giro
su un cavallo bianco e cappello con falde e l’aria di chi è abituato
ad avere rispetto e denaro da chi lavora e non gli chiede nulla in cambio. Continuerò con lo zio che con l’aereo s’infilava tra i pali della luce elettrica per vedere se era più veloce lui o il treno, e poi lasciò sulla sabbia
del deserto la giovinezza senza mai averla goduta. E con un altro
che sperperò nel vino e nel commercio del legno il suo talento.
Dovrò dirti anche cose che tu già sai, e di come una donna
può stare immobile su una sedia per cinquanta anni,
fingendo di attendere la morte, ma amando la vita
come si ama l’acqua, e il sale nel cibo.
Saranno le storie che mi hanno preceduto
a farti capire che mentre veniamo catapultati nel mondo
un dio nascosto governa il nostro destino,
e non importa se è stupido o saggio, folle o coglione:
siamo come le foglie che a primavera sono verdi
e in autunno si staccano dall’albero.
Tutte: e non c’è sole o vento
che possa farle vivere un attimo prima o un attimo dopo,
non c’è sibilla che possa predirci altro se non ciò che siamo.
Poi passeremo alle cronache, ai pettegolezzi, agli accidenti
che ci fanno credere di essere unici e irripetibili
come il meteorite che attraversa l’aria nelle notti d’estate.
Non credo che sarà necessario dirti altro.
I tuoi occhi capiranno.
E tu potrai nascere una seconda volta,
e io una seconda volta essere padre.

Emilio Piccolo

Acerra, 13  5 1951 – 23 7 2012


chi ha vinto non ricordo….(forse perché in ogni guerra a perdere è l’umanità intera)

3811798-soldato-seduta-guardando-verso-il-basso

Telemaco mio,
la guerra di Troia è finita. Chi ha vinto non ricordo.
Probabilmente i greci: tanti morti
fuori di casa sanno spargere
i greci solamente. Ma la strada
di casa è risultata troppo lunga.
Dilatava lo spazio Poseidone
mentre laggiù noi perdevamo il tempo.

Non so dove mi trovo, ho innanzi un’isola
brutta, baracche, arbusti, porci e un parco
trasandato e dei sassi e una regina.
Le isole, se viaggi tanto a lungo,
si somigliano tutte, mio Telemaco:
si svia il cervello, contando le onde,
lacrima l’occhio – l’orizzonte è un bruscolo -,
la carne acquatica tura l’udito.
Com’è finita la guerra di Troia
io non so più e non so più la tua età.

Cresci Telemaco. Solo gli Dei

sanno se mai ci rivedremo ancora.
Ma certo non sei più quel pargoletto
davanti al quale io trattenni i buoi.
Vivremmo insieme, senza Palamede.
Ma forse ha fatto bene: senza me
dai tormenti di Edipo tu sei libero,
e sono puri i tuoi sogni, Telemaco.

Josif Aleksandrovič Brodskij
(Leningrado, 24 maggio 1940 – New York, 28 gennaio 1996)


…per l”orrore di tutto questo non c’è forma di verso che mi basti

ospedalealeppo

voglio parlare di quelle che una volta erano strade, viali
ricamati di case e palme, dei tappeti che una volta
nella nostra immaginazione, volavano di magia
e che adesso si sfumano in altre forme,
le più basse…..
Di quello che vedo da lontano e su uno schermo,
non voglio parlare
voglio queste righe in cui parlo di altre righe,
fatte di altra materia, reale e dura, esplosa, questa,
detenuta da giubbotti e armi color di fumo,
e, accanto agli oceani di gente,
i sedimenti vissuti da altre genti,
quelle vicine a me, l’odio costruito lentamente
che quasi tocca l’abominio .
Di ciò che arriva allo sguardo, degli strati di secoli in cui tutto
sembra merce facile da dimenticare,
serve ad insistere nell’orrore.
Di tutto questo non c’è forma di verso che mi basti
perché niente dona conforto o pace…

Ana Luísa Amaral. Lisbona, 1956

traduzione di Livia Apa


sebbene il domani canti nelle voci delle sirene…

tumblr_mgdk6fekvm1qhgyl1o1_500

Come gli uomini sono loquaci!
E il loro stridore sale al cielo
che si sfoglia in luce e folate.
Sul bordo della spiaggia,
l’Anno Nuovo nasce fra feticci bianchi
e bianche ombre strepitose che si muovono sulla sabbia
finché albeggi e il giorno sia
la nuvola che passa.
Una certa mano abituata all’incertezza
tenta un’altra volta di raggiungere il cuore della materia:
la vena dove il mistero della vita
palpita nell’ombra come una galassia.
Sebbene il domani canti nella voce delle sirene
sappiamo che qualcosa ci è stata strappata
e mai più ci sarà restituita.

Lêdo Ivo
Maceió, 18 2 1924 – Siviglia, 23 12 2012


…il tempo è  fermo e noi lo attraversiamo come il treno nella notte (Emilio Piccolo)

gnocchi_spagnolo_02_800

Guarda, gli alberi sono; le case

che noi abitiamo, esistono ancora.

Noi soli scorriamo avanti a tutto,

come aria che si rinnova..

Rainer Maria Rilke, Praga, 4 12 1875 – Montreux, 29 12 1926
dalla seconda delle “Elegie duinesi” 1912


tempo di….conti

abaco

Dove saranno le cose che mi mancano?
Dov’è caduto il due dell’allegria?
Dove si sono smarriti i dettagli?
E mi metto a cercare i decimali
ricordando i miei tempi infantili
e faccio la radice quadrata di un ricordo
e non ci azzecco e non so cosa mi succeda
e penso che sia meglio tracciare la riga
e mi metto a sommare – non so come –
pene con abbandoni ed allegrie
e mi metto a sommare le une con le altre
solo per vedere che la colonna cresce
e percependo che giunti a un punto
dovremo collocare il vecchio zero
quello che ci avanzò quando moltiplicavamo.

Francisca Aguirre

Alicante 26 10 1930 – Madrid 13 4 2019

da  Ítaca

traduzione di Roberta Truscia


….che questo è il solo modo di tenersi il tempo per vivere

scheherazade (1)

XLV
perché mai questo soffrire
dentro fin dentro
nervo su unghia su pupilla
unico per formiche alberi e travertini
perché mai questo morire
per sottrazioni di fonemi
di rami foglie e gemme
per dolore di ciò che non siamo
per le storie che non ci faremo mai
per l’assoluto che tu sei
per i profumi e i frutti del pianeta
perché mai fra un nonsenso e l’altro
si misura come un ponte senza fiume
la distanza che c’è fra l’ombra e il sogno
fra il sogno e le vite raccontate con discrezione
raccontate una e cento volte
quasi fossimo shéhérazade
piccola cooperativa di dopolavoro
e non sapessimo invece che questo è il solo modo
di tenersi il tempo per vivere
e cucire con un filo sottile
ad uno ad uno
i nuovi e gli antichi amori della specie

Pietro Pasquale Daniele, Emilio Piccolo
da “Les arrangements”


resta con me….

706401-abstract-of-night-folla-in-movimento

Resta con me, non andartene.
Già bolle il caffè turco della notte eresiarca,
come azzurre fiammelle di ponce sfavillano
le lampadine giranti del Luna Park.
Non affogare nel ròtor, nel grinzo
gorgo dei casamenti impazziti,
dove scurrili bellocce si impinzano
di fricandò e di soffritti.

A tante storie consunte si aggiunga anche questa,
ma resta,
furbastra barbiera e giumenta:
imbrattami di noia, di falsa gioia,
di paroline spumose e posticce,
perché, come in tempi lontani, io mi senta
stupidamente felice.

Angelo Maria Ripellino
(Palermo, 4 dicembre 1923 – Roma, 21 aprile 1978)
Da Lo splendido violino verde


Tu non troverai i confini dell’anima tanto è profonda la tua ragione. Eraclito

i-was-falling-high

Siamo gli unici esseri sulla faccia della terra ad avere coscienza della nostra  morte e, tuttavia, non  sapremo mai  farcene una ragione.

Scholfield Hurley

Dio! Non chiedermi di elencare le tue meraviglie.

Ti riconosco le stelle e i soli

e i mondi innumerevoli.

Ma ho misurato le loro distanze

e li ho pesati e ho scoperto la loro materia.

Ho inventato ali per l’ aria,

e chiglie per l’ acqua,

e cavalli di ferro per la terra.

Ho accresciuto milioni di volte la vista che tu mi desti,

e l’ udito che mi desti, milioni di volte;

ho valicato lo spazio con la parola,

e preso dall’ aria il fuoco per farne luce.

Ho costruito grandi città e perforato colline,

e gettato ponti su acque maestose.

Ho scritto l’ Iliade e l’ Amleto;

ho esplorato i tuoi misteri,

e ti ho cercato senza posa,

e ti ho ritrovato dopo averti perduto

in ore di stanchezza –

e ti chiedo:

ti piacerebbe creare un sole

e l’ indomani avere i vermi

che ti brulicano in mezzo alle dita?

Da Antologia di Spoon River

                       Edgar Lee Master